martedì 9 agosto 2016

SANTA TERESA DI RIVA. LA 4a RELAZIONE DI CATENO DE LUCA



SANTA TERESA DI RIVA (Messina) – 09 Agosto 2016. Piazza Marina Militare d’Italia (o se preferite, Piazza Bianca). Sale sul palco il primo cittadino Cateno De Luca, ma già hanno preso posto seduti i componenti della sua Giunta (il vicesindaco Danilo Lo Giudice, Annalisa Miano, Giovanni Bonfiglio, Gianmarco Lombardo e Salvatore Bucalo). Sulla destra i giornalisti anch’essi seduti. Il sindaco, annuncia che per la conoscenza del pubblico presente in un linguaggio il più possibile comprensibile, sta per sintetizzare la quarta relazione annuale, relazione che va dal mese di Agosto 2015 a Luglio 2016. Relazione che intanto viene consegnata in cartaceo a tutti i presenti.
Il prossimo obiettivo, inizia, è un finanziamento, le cui graduatorie per il “patto per il Sud”, dovrebbero uscire tra breve), sul contrasto erosione coste, (per dieci milioni di euro), e ricorda la famosa protesta fatta tempo fa sul torrente Savoca, durante la quale lui stesso impiccò simbolicamente la sua fascia di sindaco che ha ottenuto dei risultati perché plateale.

“Ci siamo occupati della riqualificazione messa in sicurezza delle scuole”, continua, e ne elenca alcune, ed aggiunge: “purtroppo, il Sistema non va alla nostra velocità”, si riferisce alla programmazione dei bandi in Sicilia. “Governata da un soggetto inadeguato (Crocetta), la Regione siciliana era un colabrodo ed è rimasta un colabrodo”.

L’efficienza raggiunta dalla raccolta differenziata porta a porta in atto, la soppressione dei cassonetti in giro per il paese, l’impegno profuso per un risultato già raggiunto a Luglio (79,5%), dal quale ne deriva anche risparmio in bolletta, e parecchio. Anche se permangono furbi che, - dice - saranno presto stanati.

Nel prosieguo del discorso, De Luca ricorda il contrasto all’evasione. dice: “potenzialmente in questa piazza ci sono metà che non pagavano le tasse, e quindi ci saranno metà di voi che mi sputeranno in faccia, perché negli ultimi vent’anni non hanno mai pagato... allora io ho introdotto il principio pagare tutti per pagare meno”.

Interrogato da un giornalista sul suo futuro, (la prossima primavera), o meno in politica, considerata persino una possibile candidatura quale sindaco di Messina, risponde: “Il 7 di Dicembre notte, (data in cui affronterà i giudici per l’ultimo di diciassette udienze, in quella occasione, potrebbe essere assolto o condannato) deciderò il da farsi. Aggiunge: “Non c’è angolo della Sicilia che non sappia chi è Cateno De Luca, nel bene o nel male”.

Giunge la domanda del sottoscritto, domanda che avrebbe voluto vertere sul piano regolatore generale o sul dopo i cinque anni di sindacatura che fra meno di un anno si saranno conclusi, ma essendo argomenti già trattati da altri giornalisti, non mi rimaneva che chiedere in cosa questa amministrazione pensasse di aver saputo fare particolarmente bene, tanto da considerare ciò un fiore all’occhiello da esibire con orgoglio.
De Luca: “Sono sicuramente fautore, e mi auguro che chi viene dopo di me continuerà su questo trend, di aver sistemato anche se ancora manca qualcosa, il palazzo municipale”. E fa degli esempi sull’andazzo precedente alla sua nomina a sindaco e come invece sono cambiate le cose adesso.
Dalla biblioteca comunale dove il lavoro che poteva tranquillamente fare una persona, lo espletavano in cinque, alle pulizie del palazzo fatte adesso dagli operai comunali, al trasporto dei bambini fatto ora coi pulmini acquistati dal comune e guidati dagli impiegati comunali. Provvedimenti che farebbero, dice De Luca, risparmiare alle casse comunali (e quindi ai cittadini che pagano le tasse), fior di quattrini.  

Gli interventi del pubblico. Fra questi, un anziano signore che afferma di fare le ferie a Santa Teresa di Riva da almeno quindici anni e pone una articolata domanda al sindaco, poi la dottoressa Melina Patanè, la quale constatando che a Santa Teresa si sta facendo molto, (numerose le manifestazioni fatte durante tutto l’arco dell’anno fra cui “La festa della Primavera” e il ricco cartellone estivo), chiede delle strutture ad OC, come un Polo Turistico Culturale del quale faccia parte un museo, una galleria d’arte permanente, una Casa della musica, che offrano opportunità ai tanti artisti locali (e ce ne sono tantissimi) e non solo, nell’intero arco dell’anno.

De Luca parla di trattative che dovrebbero essere definite nel giro di qualche mese. Dalla riorganizzazione degli edifici di Villa Ragno alla realizzazione di una struttura teatro, (un pala tenda), questo ed altro ancora, per la fruizione di servizi culturali che attualmente Santa Teresa attualmente non ha. Progetto bizzarro, così lo definisce il sindaco: “l’acquisizione di due lotti dell’area artigianale per la realizzazione di una struttura ludico ricreativa. In realtà una discoteca.

Numerosi gli interventi del pubblico presente fino a tarda ora, a fra questi anche un esplicito complimento proveniente da una villeggiante, quale avrebbe notato in questo paese, da qualche anno a questa parte, un evidente cambiamento. In meglio, sottolinea!

10 Agosto 2016 

lunedì 8 agosto 2016

ROCCALUMERA. ALTRIMENTI, CHE FATE? VI ARRABBIATE!



ROCCALUMERA (Messina). Signori miei, ma dico io, vi sembra questo il periodo per richiedere loro l’autorizzazione per affiggere un manifesto che “insulti” il loro operato triennale? L’operato di una amministrazione, proprio mentre questa festeggia un trionfo di fratellanza? Direi che, hanno fatto bene a non darvelo sto permesso, spazi di affissione disponibili o meno!
A tal proposito, mi viene in mente una scena di un vecchio film di Bud Spencer e Terence Hill, intitolato “Altrimenti ci arrabbiamo”. I due insuperabili personaggi, avendo ambedue constatato che il vecchio amico era stato pestato e ridotto in fin di vita dentro la propria officina (ciò come risposta alla loro richiesta di riavere la loro Dune Buggy), vanno subito a bussare alla porta del boss. Qui, dallo spioncino uno degli invitati ad una rumorosissima festa, con fare ironico e beffardo, risponde che loro non sono stati invitati al banchetto. E aggiunge: “altrimenti, che fate? Vi arrabbiate?”. Al che, Terence e Bud dopo aver risposto in coro: “siamo già arrabbiati”, entrano direttamente nella sala sfondando il portone con la loro auto da rally. Quindi, spaccano tutto sino a completare l’opera con la più classica delle scazzottate.

Cosa vuole significare questo scrivente? A parte il fatto che in tempo d’estate, basta fare un giro fra i paeselli, per rendersi conto che ogni Comune avendo messo in piedi un programma Estate (appunto), a meno che non capiti qualcosa di grave all’improvviso, rimanda a Settembre (come una volta accadeva per i ragazzi della scuola), la trattazione di ogni magagna ed ogni problema, anche se tanti ce ne sono e di pregressi e seri da risolvere ovunque.

In ultima analisi, questa volta, dallo spioncino si è affacciato un amministratore che, forte magari del successo di una bella manifestazione (ossia il XV Festival Internazionale del Folclore, resuscitato dopo vari anni di assenza), si sarà chiesto: “ma come, ci chiedete di entrare nella festa dei nostri tabelloni estivi ed insozzarla con le vostre futili lamentele? Ebbene: voi, non siete stati invitati alla nostra festa!
A questo punto, il gruppetto della minoranza roccalumerese (se non anche altri frettolosi), si saranno arrabbiati come Terence e Bud, oppure (dopo aver distribuito alcuni volantini nelle buche delle lettere), se ne torneranno a casa con la classica coda fra le gambe? Staremo a vedere! 

08 Agosto 2016

giovedì 4 agosto 2016

L’OPERA DEI PUPI. SPETTACOLO SICILIANO PER ANTONOMASIA



Un tempo, per un che si rispettasse, l’opera dei pupi era lo spettacolo per antonomasia. Annualmente arrivava dal catanese una compagnia di pupari a far rivivere le avventure dei Paladini di Francia: Orlando, Rinaldo, Cani di Maganza, (alias Gano di Magonza), Angelica, Guerrin Meschino, Bovo d’Antona, ecc…

Se ne discuteva animatamente prima, durante e dopo le rappresentazioni e non c’era nessuno che non conoscesse già le storie a memoria, puntata per puntata, per tutte le settimane di durata delle recite. Ma si aspettava lo stesso con ansia lo spettacolo, magari per criticarlo nel caso ci fossero state, nella loro realizzazione, delle discordanze dai testi cronici.

La mattina presto comparivano dei cartelloni che l’artista disegnatore del gruppo approntava per essere esposti nei saloni (dei barbieri), da don Catìnu ‘u scarparu, ecc.. insomma nei posti strategici, per raggiungere più pubblico possibile. E giù i primi commenti sui vestiti, le armature, le vicende della puntata odierna. Luogo della recita era generalmente un magazzene (1) per la lavorazione dei limoni o una strada che veniva chiusa all’occorrenza (ricordo recite in via della Verdura). Era vivamente consigliato portare da casa la sedia. Gli spettatori partecipavano intensamente; odiavano e dileggiavano il traditore Cani di Maganza, anche tirandogli contro scarpe vecchie portate da casa a quel fine, esultavano quando l’invincibile Durlindana mozzava le teste dei saraceni a decine facìa minnìtta, (2) di vil marràni, piangevano alla morte di Orlando, si atterrivano alle opere di magia e ridevano negli intervalli con le battute di Pulicani e di Pippennino, sgraziato e spesso legnato buffone.

Si raccona di un puparo, mastru Giuvanni, che, facendo alla fine della serata l’anticipazione sulle rappresentazioni del giorno dopo, annunciasse come Orlando con un solo colpo di Durlindana (3) avrebbe ammazzato decine e decine di Saraceni. Al suo annuncio seguì un coro di - “scalamula mastru Giuvanni!!!” che lo fece molto arrabbiare: il motto ancora oggi da noi serve come ammonimento a chi le racconta grosse.

Di Pippennino invece rimane il ricordo come personaggio che conta men di niente nel detto: - “e ccu sugnu, Pippenninu?” – (variante Stucchìnu).

Veri artisti erano le persone addette alle rappresentazioni; sapevano muovere con maestria i pupi manovrando i fili e facendo cadere le teste recise al momento giusto, bravi nel preparare i vestiti e le armature e bravo anche il dipintore dei cartelloni, nel raffigurare gli episodi che il pubblico voleva già vedere e capire in anteprima. Chi eccedeva in maestrìa era il capo della compagnia, a cui si doveva l’impostazione del racconto, il modo di porlo, rendendo il pubblico più recettivo possibile. Conoscendo bene l’animo degli spettatori bisognava porgere gli avvenimenti – come sanno fare tutti gli addetti al teatro – in modo che avvenisse al meglio l’dentificazione tra spettatori e storia. Il racconto di gesta eriche, di combattimenti fra il bene e il male, fra valorosi guerrieri senza macchia e senza paura e le forze del male (gli infedeli, i traditori, i mostri), che ben si addice a un pubblico, come il siciliano, amante dell’epos e di quel senso della giustizia di cui difficilmente godeva nella vita reale. Anche l’indignazione del pubblico di fronte all’eccessiva morìa di infedeli evidentemente era condotta volontariamente.

La frase “scalàmula mastru Giuvanni” con le sua varianti (Peppe, Ninu, Natàli, ecc.) era diffusa in tutta la Sicilia. Era voluta e cercata e nessuno del pubblico sfuggiva al desiderio di pronunciarla.

Racconta un furciòto che, trovandosi per caso a Giarre ad assistere ad uno spettacolo dei Pupi, di fronte alla solita frase “scalàmula mastru Giuvanni!” esclamata a gran voce dal pubblico, il maestro ne pronunciò una uguale passata alla storia: - Se da qui non esce quel bastardo di furciòto io non vado avanti con la recita – pensando che fosse stato un nostro paesano a sobillare l’uditorio.

“Mmugghiàri ì pupi”, detto siciliano che corrisponde a por fine ad una vicenda iniziata e con poche speranze di essere portata bene a compimento, deriva proprio dall’atto finale dei pupari che, alla fine dellev rappresentazioni, mettevano tutto da parte, raccogliendoli ed avvolgendoli, pronti a partire per una nuova destinazione. Potrebbe derivare da ammogghiu, in siciliano fagotto e anche pannolino per il neonato, in questo caso inzuppato, ammollato di pipì. Dal latino parlato admolliare, ammollare.

1) Magazzene: dall’arabo makohzin = deposito.

2) Fare “minnìtta” sta per fare strage, fare a pezzettini i nemici, da fare “vindìtta” = vendetta.

3) Durlindana: (spada) di Orlando.

NOTA: I testi sono tratti dal libro di Franco Maccarrone “SALVIAMO ‘A MUSTICA. Furci Siculo fra Storia Tradizioni e Lingua”. Prima edizione, Luglio 2006. (Riproduzione riservata).

MARIONETTE. PALERMO E CATANIA, DUE SCUOLE DIVERSE

Ci sono differenze tra i teatrini di Palermo e di Catania. Il primo ha dimensioni più piccole ma più riccamente decorato. Catania ha uno scenario unico. Alcuni pupazzi hanno compiti specifici: uno annuncia il titolo dello spettacolo, due altri burattini scambiano qualche parola prima di iniziare per creare l'atmosfera perfetta e per catturare l'attenzione del pubblico, un altro, infine, fornisce una breve sintesi della rappresentazione. Le due principali città siciliane mostrano differenze anche nella forma e nella dimensione delle marionette. Il palermitano è di circa 90 centimetri di altezza e pesa meno di quindici chili. Le sue dimensioni più piccole permettono più mobilità. Il catanese è più grande e più pesante e raggiunge 140 centimetri di altezza e 35 chili di peso.

NOTA: Articolo già pubblicato su Fogliodisicilia.it il 10 Luglio 2012.

giovedì 28 luglio 2016

FESTIVAL BIZANTINO-ARABO-NORMANNO. UNA SERATA COME IN FAMIGLIA



Casalvecchio Siculo (Messina). Notte di fine Luglio. Una serata ventosa, quella di stasera davanti alla chiesa di Maria SS. Annunziata, dopo una giornata afosa quasi quanto quest’estate che pure tanto ha da dire e da dare.
Sulle scale della chiesa, ecco il sempre brillante Antonello Bruno e la dolce e tenace quanto colta, (presidente del “Caffè D’Arte “Il Paese di Fronte al Mare”, di Santa Teresa di Riva), Melina Patanè. La poesia, il trait d’union che accomuna poeti, artisti e semplici curiosi, accorsi comunque numerosi ad applaudire ogni lirica dei sentimenti, dei personaggi e paesaggi in essa raffigurati.
È giusto ricordare che, noi tutti siamo stati invitati da Mariapia L. Crisafulli, casalvetina figlia di casalvetini, nonchè ottima e convincente padrona di casa. Poeti dicevo: dal mesto me stesso, al maestro del dialettale che da sempre racconta le radici di un popolo, Antonio Antonino Rizzo. Tanti i poeti esibitisi stasera, che non menziono per non dimenticarne poi qualcuno.

E poi la la pittura, ben rappresentata da Carmelo Spinella e Ivan Spanò e alcune loro opere esposte. E anche qui dovrei aggiungere almeno un’altra artista. Presente non di persona ma con alcuni suoi quadri.

Bello anche il cortometraggio finale "Solstizio d'Estate" di Fabrizio Sergi.
Poeti, dicevo: l’emozione che può trasmette una poesia è qualcosa di unico, di coinvolgente. Sia essa profonda o leggera, romantica, ricercata o semplice, in italiano o in dialetto siciliano.

Suggestiva la figura narrata della "scecca" alla cui coda si aggrappava la propria padrona quando iniziava la salita; toccante la poesia sugli immigrati e le loro storie e sofferenze di uomini; il ricordo della madre di Peppino Impastato, e poi la magia della Basilica Arabo Normanna, la cui policromia di materiali racconta nei secoli una storia e un misto di sentimenti, per un visitatore sempre diverso ma che sempre estasiato torna ospite a Casalvecchio.


28 Luglio 2016 - Giovanni BonarRIGO