giovedì 28 luglio 2016

FESTIVAL BIZANTINO-ARABO-NORMANNO. UNA SERATA COME IN FAMIGLIA



Casalvecchio Siculo (Messina). Notte di fine Luglio. Una serata ventosa, quella di stasera davanti alla chiesa di Maria SS. Annunziata, dopo una giornata afosa quasi quanto quest’estate che pure tanto ha da dire e da dare.
Sulle scale della chiesa, ecco il sempre brillante Antonello Bruno e la dolce e tenace quanto colta, (presidente del “Caffè D’Arte “Il Paese di Fronte al Mare”, di Santa Teresa di Riva), Melina Patanè. La poesia, il trait d’union che accomuna poeti, artisti e semplici curiosi, accorsi comunque numerosi ad applaudire ogni lirica dei sentimenti, dei personaggi e paesaggi in essa raffigurati.
È giusto ricordare che, noi tutti siamo stati invitati da Mariapia L. Crisafulli, casalvetina figlia di casalvetini, nonchè ottima e convincente padrona di casa. Poeti dicevo: dal mesto me stesso, al maestro del dialettale che da sempre racconta le radici di un popolo, Antonio Antonino Rizzo. Tanti i poeti esibitisi stasera, che non menziono per non dimenticarne poi qualcuno.

E poi la la pittura, ben rappresentata da Carmelo Spinella e Ivan Spanò e alcune loro opere esposte. E anche qui dovrei aggiungere almeno un’altra artista. Presente non di persona ma con alcuni suoi quadri.

Bello anche il cortometraggio finale "Solstizio d'Estate" di Fabrizio Sergi.
Poeti, dicevo: l’emozione che può trasmette una poesia è qualcosa di unico, di coinvolgente. Sia essa profonda o leggera, romantica, ricercata o semplice, in italiano o in dialetto siciliano.

Suggestiva la figura narrata della "scecca" alla cui coda si aggrappava la propria padrona quando iniziava la salita; toccante la poesia sugli immigrati e le loro storie e sofferenze di uomini; il ricordo della madre di Peppino Impastato, e poi la magia della Basilica Arabo Normanna, la cui policromia di materiali racconta nei secoli una storia e un misto di sentimenti, per un visitatore sempre diverso ma che sempre estasiato torna ospite a Casalvecchio.


28 Luglio 2016 - Giovanni BonarRIGO


lunedì 25 luglio 2016

IL BARBIERE CHE SAPEVA TROPPO



C’era una volta un barbiere, che (come da consuetudine) sapeva tutto di tutti in paese. Talvolta dai suoi commenti, fra una barba, uno sciampo ed un taglio di capelli, gli scaturivano persino delle frasi pseudo-filosofiche: “fino a quando sarà la gente ad aver paura della politica e non la politica paura della gente, le cose non cambieranno”, ripeteva.
Abbiamo fatto delle segnalazioni (con foto) su Facebook, aggiunse quella volta, ma non solo non servono a niente, ma visto che trattavano della viabilità, un Vigile Urbano, incontrandomi mi disse: “Aah! ora divintàmmu tutti fotografi e giunnalisti ntà stu paisi!”.
Il barbiere conosceva però, anche gli inciuci più inenarrabili e inenarrati. Da chi lavorava o no allo stato di famiglia del relativo nucleo familiare. Pensionati con figli a carico, diritti negati allo spazzamento strade dei “quindici giorni” per superamento della soglia minima annuale per un assistenzialismo che in tempo di crisi era già qualcosa.
Un “quadro clinico” sconcertante che risaliva nel chiacchiericcio odierno da salone del barbiere, fin dal conseguimento dei diplomi di una generazione (oramai coi capelli bianchi) ma senza diritti garantiti di lavoro né tantomeno prospettive incoraggianti in Terra natìa.
“Avrebbero dovuto fare, - recitò poi, quasi amareggiato il barbiere – come alcune nazioni europee fanno da lungo tempo, dove il neo diplomato veniva inserito già dalla sua scuola in un programma di impiego e formazione, e solo se questi dimostrava incapacità o fiacchezza veniva buttato fuori.
Al che, il cliente ancora in fase di rasatura, fece delle osservazioni che qui ci sono sconosciute. Fatto sta, che esso stesso comprese in modo chiaro, come il “sistema sud” fatto di gente silenziosa e spesso persino omertosa, si reggeva ancora sulla paura generalizzata di perdere quelle pur minime “concessioni” che in realtà avrebbero dovuto e dovrebbero essere diritti e diritto al lavoro.

25 Luglio 2016 – Giovanni geom. BonarRIGO

giovedì 21 luglio 2016

SANTA TERESA DI RIVA. ANCHE QUEST’ANNO, CI RIVEDIAMO IL 2 AGOSTO



SANTA TERESA DI RIVA (Messina) – Per non dimenticare Onofrio Zappalà, morto nella tremenda strage di Bologna nel 1980. Una conferenza stampa quella di stamani, che a trovato presenti, oltre al vicesindaco Danilo Lo Giudice, la dirigente scolastica del’Istituto Superiore di Santa Teresa, nonché Natale Caminiti per l’Associazione “Amici di Onofrio Zappalà”, alcune ragazze in rappresentanza del movimento “Agende Rosse”, nonché varie rappresentanze giornalistiche locali.
Presa la parola per primo, Natale Caminiti, subito ha voluto ringraziare tutte le varie partecipazioni, che in questi anni (dal Comune di Savoca al Comune di Forza d’Agrò all’Istituto Superiore, all’Istituto Comprensivo, ricordando la dirigente Enza Interdonato), hanno dato un contributo ed un sostegno importante alla buona riuscita degli eventi. Caminiti, ha elencato gli appuntamenti che anche quest’anno ci saranno il 2 Agosto: dalla consueta visita al cimitero di Sant’Alessio Siculo alla Santa Messa, che in questa occasione sarà celebrata dall’Arcivescovo emerito di Messina, Mons. Giovanni Marra; fino all’incontro nei giardini di Villa Ragno, dove per la XI edizione del Premio Zappalà, ci sarà ancora una volta la consegna delle borse di studio a studenti della zona jonica.
Ospiti della serata: Nino Di Matteo, Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo; Angela Manca, mamma di Attilio Manca, vittima della mafia; Fabio Repici, avvocato delle vittime della mafia; e non ultimo Salvatore Borsellino.
L’annullo filatelico di Poste Italiane (che è il terzo dopo i due annuali di Bologna), ci sarà anche quest’anno.
“Parlare agli studenti, coinvolgere i ragazzi e indurli alla riflessione sui fatti della mafia”, è stata la frase centrale della brillante Dirigente Lipari.
Infine, il saluto e la dichiarazione di totale disponibilità verso l’Associazione e gli eventi che essa vorrà organizzare in futuro, da parte del vicesindaco Lo Giudice, il quale ha ricordato che, per la diffusione di determinati valori, durante l’anno, a Santa Teresa vengono svolte numerose attività.  

21 Luglio 2016 

martedì 12 luglio 2016

SOCRATE E LA SICILIA GRECA FILOSOFICA



Era l’anno 735 a. C., la prima colonizzazione greca in Sicilia avveniva a Naxos (attuale Giardini Naxos), nella spiaggia di Taormina. Nel 734, coloni Dori, provenienti da Corinto, si stanziavano nel centro siculo di Suràka, attuale Siracusa, che a sua volta fondò Akrài (Palazzolo Acreide), Casmene e Camarina. Nel 728 a. C., colonizzatori provenienti da Megara, fondarono Megara Iblea tra augusta e Siracusa.
Lo splendore culturale della Sicilia greca si manifestò in tutti i campi, da quello letterario e filosofico a quello medico; da quello artistico a quello matematico. Ricordiamo Epicarmo da Siracusa, (528-436 a. C.), uno dei primi a scrivere commedie, Stresicolo da Imera che fu maestro della poesia corale, Teocrito da Siracusa, raffinato poeta bucolico che Virgilio considerò suo maestro. Lo storico Timeo da Taormina che per primo indicò la cronologia degli avvenimenti, ancorandoli al computo delle Olimpiadi; Empedocle da Agrigento (483-402), il filosofo che per primo concepì l’idea trascendente di Dio, anticipando di secoli il pensiero di Spinosa.
La Maga Grecia è il nome dell’area geografica della penisola italiana meridionale che fu anticamente colonizzata dai Greci a partire dall’VIII secolo a. C. La vicenda storica della Magna Grecia, sebbene strettamente legata, va tenuta distinta da quella della Sicilia greca.
La Sicilia ha un rapporto strettissimo con la filosofia fin dalle sue origini, e non poteva essere altrimenti visto che Grecia e Magna Grecia sono un unico modo culturale e linguistico (una koinè, condiviso, che è in comune). In particolare sono due i filosofi “siciliani” a spiccare: Empedocle e Gorgia, nati rispettivamente ad Agrigento e a Lentini.
SOCRATE (nacque ad Atene, Grecia, nel 449 a.C ed ivi morì nel 399 a. C.). Filosofo greco antico, fu uno dei più importanti esponenti della tradizione filosofica occidentale. Socrate è riconosciuto quale padre fondatore dell’etica o filosofia morale. Per le vicende della sua vita e della sua filosofia che lo condussero al processo e alla condanna a morte è stato considerato, dal filosofo e classicista austriaco Theodor Gomperz, il primo martire occidentale della libertà di pensiero.
“La filosofia – ha scritto Betrtrand Russel – va studiata non per amore delle risposte precise alle domande che essa ne pone, perché nessuna risposta precisa si può, di regola conoscere, ma piuttosto per amore delle domande stessa; perché esse ampliano la nostra concezione di ciò che è possibile, arricchiscono la nostra immaginazione e intaccano l’arroganza dogmatica che preclude la mente alla speculazione”.
Si può capire, per questa via, anche che cosa ci sia di peculiare nella filosofia, e in che cosa sia diversa dagli altri ambiti del sapere. Uno storico si chiede cos’è accaduto in un certo periodo del passato. Un filosofo si domanderà: cos’è il tempo? Un matematico studia le relazioni tra i numeri; e il filosofo si chiede: cos’è un numero? Di che cosa sono fatti gli atomi? È la domanda del fisico; come possiamo sapere che esiste qualcosa, nel mondo, fuori dalle nostre menti? è quella del filosofo. uno psicologo studia come i bambini apprendano il linguaggio: ma, dirà il filosofo, com’è possibile che le parole abbiano un significato? E da dove viene la nostra capacità di afferrarlo fin dalla più tenera età?
E nell’Apologia (33 a-b) probabilmente in opposizione a chi aveva, anche dopo la morte di Socrate, giustificato l’operato della restaurata democrazia, ancora una volta accusando Socrate di essere stato il cattivo genio di certi personaggi politici di Atene (un Alcibiade, un Crizia), che operando individualmente avrebbero rovinato la Città, Platone fa dire a Socrate (Socrate non lasciò nessuna pagina scritta; tanto il suo pensiero quanto il suo aspetto devono essere desunti dalle fonti coeve) ch’egli in realtà non ebbe alcun discepolo, ch’egli non insegnò alcuna dottrina, che cercò solo di far pensare la gente con la propria testa:
Io, poi, non sono mai stato maestro di nessuno: solo che, se parlando o attendendo a quella che è la mia funzione, qualcuno mi vuole ascoltare, giovane o vecchio, non ho mai detto di no: né è vero ch’io parli qualora ne ricavi guadagno e se non ne ricavi non parli; ugualmente, anzi, io sono a disposizione del povero e del ricco, di chiunque mi voglia interrogare e abbia desiderio di ascoltare quello che rispondo. Se poi qualcuno, a causa di questi incontri, diventi uomo dabbene o no, non sarebbe giusto che ne ricadesse su di me la responsabilità, su di me, chè a nessuno ho promesso d’insegnare né mai ho mai insegnato una qualche dottrina; e se qualcuno sostiene di avere imparato o udito da me, in privato, cosa che non abbia appresa o ascoltata anche tutti gli altri, siate sicuri che costui non dice la verità.

NOTA: Testi tratti dal libro “SOCRATE vita pensiero testimonianze” pubblicato da “Il Sole 24 Ore” nel 2006, nochè da Wikipedia ed altre fonti. Articolo già pubblicato sul sito Fogliodisicilia.it l'8 Febbraio 2014.

giovedì 7 luglio 2016

STORIA DI EMIGRANTI D'OGGI: ITALIANI A LONDRA A 3 EURO E MEZZO L'ORA



LONDRA - Per fortuna che ci sono i padri scalabriniani che, pur nell'assoluta povertà dei mezzi, continuano a servire gli emigrati dall'Italia. Loro non hanno mai chiuso la porta ai giovani che tentano la fortuna e spesso si scontrano con una realtà di sfruttamento. Non manca l'attenzione per i pensionati di origine italiana che conservano la nostalgia del proprio Paese, ma non possono più rientrare perché qui hanno figli e nipoti. Silvia Guzzetti
A Londra, nel difficilissimo quartiere di Brixton, i padri Scalabriniani, vivendo nello stile essenziale chiesto da Papa Francesco, fanno da punto di riferimento a giovani italiani in cerca di lavoro e pensionati arrivati qui dopo la seconda guerra mondiale. Un ostello per giovani, una scuola materna, una casa per anziani e un “Club donne italiane”. La parrocchia del Redentore, nata per gli emigranti del nostro Paese, oggi è animata dai canti della comunità filippina e di quella portoghese che hanno portato qui le loro tradizioni.
Lo stile semplice di Papa Francesco. Scale con la moquette vecchissima, finestre scardinate tra legno e vetro dove entra lo spiffero, muri da ridipingere e, d’inverno, il riscaldamento che non funziona sempre. Unico lusso Rita, la donna delle pulizie. La povertà nella quale i padri Scalabriniani di Londra vivono, ricorda quella chiesta da Papa Francesco. Una missione, in questa capitale del primo mondo, dove giovani italiani arrivano disperati in cerca di lavoro. Lavorare 15 ore al giorno. Come Emanuela Sotgiu, 29 anni, di Cagliari, laureata in scienze politiche, che lavora come commessa, anche a Natale e Pasqua, 12 ore al giorno, per una casa di abbigliamento americana che la obbliga a comprare e indossare ogni mese 5 capi della nuova produzione di abbigliamento. Va via un quinto dello stipendio. O come Boris Carozzi, 26 anni, di Pontida, che ha condiviso per mesi, con altri otto immigrati, un bilocale, al prezzo di 400 sterline al mese (470 euro), lavorando come tuttofare, per 17 ore al giorno, in un ristorante italiano che lo pagava appena 10 sterline, 12 euro al giorno. I padri, Renato Zilio, Francesco Buttazzo, Pietro Celotto e Jake Suarnaba fanno da punto di riferimento e offrono ospitalità.


L’accoglienza. Si attraversa una porta e i muri sono stati imbiancati, il pavimento rifatto. Le camere che i padri scalabriniani offrono per l’accoglienza, ad appena 20 euro al giorno, colazione e cena compresi, hanno dato ai genitori di Emanuela la possibilità di rivederla dopo 8 mesi. L’accoglienza, qui, non ha confini. E ha abbracciato la signora rumena, una badante, arrivata dall’Italia poche ore fa, affamata e senza lavoro, alla quale è stata subito offerta la colazione. E una coppia, in attesa di un bambino, che non ha mai pagato. “A contattarci, spesso, è il consolato italiano - spiega padre Renato Zilio -. E chiudiamo un occhio se qualcuno non può pagare”. L’ostello per ragazze, diretto, a pochi passi, su Clapham road, da Alison, offre dieci bilocali a 110 sterline alla settimana (130 euro), nulla per la metropoli al sesto posto nella classifica delle città più care del mondo.
La Londra che sfrutta. A Londra lo sfruttamento, in questi tempi di recessione, è all’ordine del giorno. “Tantissimi giovani italiani, tra i venti e i trent’anni, lavorano come camerieri per poco più di 3 sterline all’ora (3 euro e mezzo) per 15 ore al giorno, 7 giorni alla settimana”, racconta Giovanni Alfonsi, 47 anni, conducente di bus ad Hackney. “Dopo l’iniziale entusiasmo molti se ne vanno”. Boris invece ha resistito ed è riuscito a trovare uno sbocco. Dopo un lavoro in nero in un negozio, la promozione a imbianchino in una scuola privata, dove è diventato segretario per 1700 sterline al mese, 2000 euro. Oggi si sta laureando in marketing alla università di Birkbeck e ha un lavoro che lo aspetta a Stoccarda come manager della Bosch.
L’emigrante Papa Francesco. “Arrivato come una bomba perché venuto da tutto un altro mondo”, spiega padre Renato. “È lui stesso il messaggio più rivoluzionario perché nessun figlio di immigrati ha mai occupato un posto così importante. Esempio di una vita, a metà tra diversi confini, che è una esperienza strutturante per chi la vive e dirompente per i Paesi che ne sono coinvolti”. I padri Scalabriniani la alimentano, questa “alterità” dell’emigrazione, con i loro due polmoni, quello liturgico e quello sociale. In una mano il Vangelo, nell’altra l’accoglienza. Si chiama “Villa Scalabrini” la casa per anziani di Shenley, a meno di un’ora di treno da Londra, dove chi, ormai dentro la vecchiaia, trova soluzione a un problema impossibile, conciliare la nostalgia per l’Italia, diventata con gli anni più forte, con il desiderio di vedere figli e nipoti radicati ormai qui in Inghilterra. Subito dietro, la scuola materna bilingue che dà ai figli di genitori italiani la possibilità di praticare la propria lingua.
La missione di Brixton road. La missione di 20 Brixton road è proprio questa. Portare Cristo a coloro che si trovano tra due Paesi e aiutarli a raggiungere “la dignità, una vita vivibile e non miserabile”. Si tratti di italiani che facevano i turni nelle fabbriche di cotone e usavano un unico letto per dormire, nel dopoguerra, come Eugenio del Poio, 84 anni, che oggi anima il gruppo pensionati del mercoledì. O delle signore del club organizzato da Roberta Mutti, che raccoglie fondi per diverse attività benefiche. Oggi ad animare la Chiesa del redentore sono le comunità portoghese e filippina, due germogli vigorosissimi, che si sono inseriti sulle radici italiane per mantenerle vive. Per loro i padri celebrano la Messa in lingua tagalog e benedicono le case tra Pasqua e la Pentecoste portando lo Spirito Santo con fisarmoniche, canti e costumi tradizionali. Alterità è anche passare, in pochi minuti, dall’inglese al portoghese o allo spagnolo, come capita a questi padri quando dicono la Messa. “Guardiamo la maggioranza dei fedeli e poi decidiamo”, dice padre Renato.

NOTA: Articolo già pubblicato sul sito Fogliodisicilia.it l'11 Giogno 2013.