UN NEOLITICO D’IMPORTAZIONE -
Il Neolitico si mostra al ricercatore più penetrabile e meno misterioso
del Paleolitico, identificabile per le sue diffuse testimonianze
archeologiche. Il passaggio dal paleolitico al neolitico, anche
se si attua per gradi di sviluppo della civiltà umana, ad un certo
punto mostra una verticale frattura col passato, offrendo allo studioso
segni tangibili del nuovo sistema di vita di quelle popolazioni. Esse
finalmente rivolgono le loro fatiche quotidiane non solo alla caccia, ma
all’allevamento del bestiame e anche alla terra, coltivandola e
commercializzando i prodotti ottenuti. Sorgono delle vere e proprie
comunità umane con compiti individuali definiti nel loro ambito e con
strutture organiche d’imperio.
La civiltà dell’uomo neolitico prevede sistemi abitativi più comodi e quindi diversi dalle caverne;
ed ecco comparire i primi insediamenti capannicoli, anche se parecchie
popolazioni in questo periodo ed oltre continueranno a risiedere nelle
grotte, magari meglio attrezzate, fornite talora da sistemi d’areazione
(sfiatatoi: Favignana), di utensili di uso domestico vario, necessari
alle comodità giornaliere, ottenuti levigando la pietra o impastando
l’argilla. Sorge finalmente e in maniera diffusa il gusto del bello, del
decorativo.
Nel territorio della Sicilia è
accertata la presenza, nel periodo post-paleolitico, di due popoli di
cultura e tradizioni diverse: i Siculi e i Sicani, che non erano, di
certo, indigeni isolani; almeno uno dei due dovette giungere in
Sicilia dopo un’immigrazione di massa, tipica di quei periodi,
proveniente da qualche paese del bacino del Mediterraneo. Altrimenti sia
Siculi sia Sicani sarebbero lo stesso popolo, mentre le scoperte
archeologiche mettono in evidenza caratteri culturali del tutto
differenti.
È deducibile, quindi, che non esista un
vero e proprio Neolitico siciliano, ma una cultura importata ed
assimilata. Infatti, il neolitico isolano presenta in tutta la sua
“facies” di sviluppo i caratteri tipici di altre civiltà mediterranee.
Le prime manifestazioni neolitiche in Sicilia si hanno con la “cultura di Stentinello” (Siracusa) (5000-4500 a. C.),
abbracciante un’area di sviluppo attorno a 30.000 mq. Trattasi di un
insediamento capannicolo di forma ovale con gli abitanti dediti
all’agricoltura, alla pastorizia e alla produzione di manufatti di
ceramica cotta, decorati con disegni geometrici e figurativi
schematizzati, espressione del buon gusto raggiunto da quegli artigiani.
Anche a Megara Iblea, a Licata e nelle Lipari compaiono segni della
cultura stentinelliana con ceramiche d’argilla depurata, decorate a
strisce rosse.
Produzioni similari sono state rinvenute in Puglia e in altri territori dell’Italia peninsulare,
e dimostrano l’importazione di tecniche di lavorazione e di decorazione
da parte dei popoli provenienti dall’Italia, tra cui i Siculi,
installatisi nella Sicilia orientale. L’industria litica stentinelliana,
sviluppatasi in buona parte nella Sicilia orientale, si serve di selce e
di ossidiana, che all’epoca fu il principale materiale di questi
popoli.
Altre civiltà neolitiche isolane
di notevole sviluppo sono quelle di Matrensa, di Fontana, di Papa, di
Mègara Iblea e di Thapsos. La cultura di Thapsos merita uno
sguardo per il salto culturale ch’essa segna nel percorso dell’assise
abitativa. La nuova struttura residenziale, di forma rettangolare,
presenta il superamento delle capanne ed un’area di servizio familiare
data da cortile pavimentato. Il complesso urbanistico che ne deriva,
assieme ai diversi reperti archeologici rinvenuti, evidenzia uno
sviluppo culturale avanzato rispetto alle restanti civiltà siciliane
contemporanee (XIV-XIII sec. a. C.), sostenuto da consistenti influssi
provenienti dal mondo egeo. Altra civiltà indicativa, ma, invero, più
giovane è quella Pantalica (XIII-VIII sec. a. C.), che indica un sicuro
collegamento con quella micenea. I resti dell’ “amaktoron” (reggia, situati sulle sommità del monte, sono, infatti, assimilabili al “megaron”
di Micane. Le cinque spettacolari necropoli, composte da ben 5.000
tombe a grotticella naturale sono, per numero, impressionanti e non
riscontrabili nell’intera regione mediterranea.
Verso il 4500 a. C. la facies culturale neolitica subisce profonde mutazioni soprattutto nelle isole Eolie,
ove le popolazioni abbandonano i territori pianeggianti e fertili per
situarsi nelle parti più elevate, a dimostrazione di pericoli
incombenti, e dove fa apparizione un nuovo tipo di ceramica levigata,
lucida, di colore bruno, segnata a bande rosse e nere con interessanti
motivi geometrici, riscontrabili nella cultura jugoslava di Danilo e
della Grecia.
In Sicilia questa seconda fase
del neolitico, che potrebbe definirsi medio, presenta il carattere del
ristagno delle attività culturali, come a significare uno spostamento
dell’epicentro di floridezza verso le isole Eolie. Qui, grazie
ai grandi giacimenti di ossidiana, si erano intessuti intensi scambi
commerciali con le popolazioni delle isole napoletane e della costa
campana: si era aperta così un’importante via marittima di comunicazione
verso i territori peninsulari.
È con la cultura eoliana di Piano Conte che le isole Lipari perdono d’importanza, ridando alla Sicilia il suo naturale primato.
D’ora in poi esse cesseranno di gravitare verso la penisola italiana
per ritornare a far parte integrante della cultura della Sicilia
orientale, in tutte le sue successive manifestazioni, anche quando si
avrà un nuovo periodo della loro attività, con la cultura dell’età del
bronzo di Capo Graziano. Infatti, l’ultima fase del neolitico eoliano
(cultura di Piano Quartara) si svolgerà con caratteristiche unitarie sia
nelle Lipari che in Sicilia.
L’età del rame in Sicilia
presenta due facce culturali, talora non chiaramente distinte: quella
occidentale e quella orientale, entrambe condizionate da egemonie
provenienti dal mondo egeo-anatolico. Nell’Oriente siculo si
svolge, in questo periodo, la civiltà di Castelluccio (Noto) (XVIII-XV
sec. a. C.), la cui area di sviluppo, oltre a comprendere la regione
dell’Etna, giunge fino ad Agrigento, delimitando sin da adesso le prime
zone d’influenza tra le venture civiltà punica ed ellenica.
Pur presentando la civiltà di
Castelluccio un’ampia facies unitaria di base su tutto il territorio di
influenza, essa mostra tre volti per gli innesti con le civiltà locali
agrigentine, siracusane e catanesi.
L’età del bronzo della Sicilia
orientale, identificabile con la civiltà di Castelluccio, prevede
piccoli villaggi posti su zone collinari fertili, adatte
all’agricoltura, in prossimità di fiumi (Castiglione, Monte Casasia) e
non di rado in prossimità del mare (Corridore, Passo Marinaro,
Canalotti, Thapsos, Trapani). Le capanne in pietra assumono forme
geometriche ovali o circolari, quasi perfette; viene abbandonata la
precedente forma rettangolare e l’uso del legno viene riservato, assieme
a fango e paglia, per la copertura.
Nei numerosi villaggi,
generalmente sforniti di fortificazioni difensive, il materiale
ritrovato è dato da macine, oggetti di selce, pithoi, ceramiche d’uso
domestico. Queste ultime mostrano caratteri nuovi tipici, forme
diversificate ed un numero crescente d’esemplari per i diversi usi:
bicchieri a clessidra, anfore grandi, fruttiere, dipinti con decorazioni
geometriche armoniose su fondo rosso a bande brune, o con figure umane
schematizzate (vasi di Adrano). Sono state trovate statuette maschili o
femminili, dipinte in rosso in nero (Caltanissetta), provenienti da
Cipro, da Creta, dall’Anatolia. È importante tra i reperti un
particolare tipo d’idolo ricavato da un osso a globuli, finemente
lavorato e decorato, diffusamente ritrovato in tutta l’area di
Castelluccio, di provenienza, nella forma e nella manifattura, dalla
Grecia, da Troia, da Malta. Questi accostamenti culturali
confermerebbero che già sin dall’età del bronzo delle correnti
commerciali o di popoli s’indirizzano all’Ellade, da Cipro, da Creta,
dall’Anatolia verso la Sicilia.
A completamento del quadro complessivo
culturale di questa civiltà necessita ricordare l’elevato interesse
mostrato dalle popolazioni per i morti, cui riservavano tombe comuni
nella roccia, racchiuse da portelli decorati, fornite di spazi
precamerali. Come a significare la continuazione della vita nell’aldilà,
il defunto veniva seppellito assieme ad oggetti d’uso comune.
Allo scadere della cultura di
Castelluccio, si rileva un rifiorire della civiltà delle Lipari, che
influenza anche la prospiciente costa sicula (Milazzo). Tale
risveglio della civiltà eoliana si deve, secondo Diodoro Siculo (Frag.
V, 7), alla nascita della città di Lipara, da cui prendono nome le isole
Lipari, ad opera di Liparo, figlio di Ausonio, che alla testa di
un’armata proveniente dall’Italia peninsulare, forse dalla Campania,
conquistò l’isola. Tale evento troverebbe rispondenza concreta nei
storici riferentisi a questo periodo (1250 a. C.). infatti, la facies
culturale dell’arcipelago perde i suoi antichi connotati per
manifestarne di nuovi, analoghi a quelli di parecchie culture
dell’Italia meridionale.
Il risveglio eoliano si può
ripartire in due periodi, detti di Ausonio, in cui si nota una
distinzione di valori tra il primo momento culturale di esclusiva marca
di questo arcipelago, ed un secondo, ove frammenti di questa
civiltà s’irradiano anche in Sicilia, lungo il litorale prospiciente le
isole (1150 a. C.). Del primo Ausonio sono le ceramiche nere o
bruno-scure, i cui caratteri presentano la tipologia delle civiltà
appenniniche del centro e del sud Italia: vasi a becco ricurvo o con
anse circolari, scodelle carenate. A questo periodo non può ascriversi
alcuno dei villaggi ritrovati nelle Eolie, forse perché Liparo provvide
con il suo esercito a rendere inabitate tutte le isole, meno Lipari.
Gli insediamenti capannicoli
rinvenuti a Castello di Lipari sono del secondo Ausonio e presentano
valori innovatori rispetto ai precedenti, soprattutto per la
forma rettangolare delle abitazioni, per i solidi muri perimetrali più
elevati, per le accresciute dimensioni, per la sistemazione del
focolare. Le ceramiche di fabbricazione locale, rinvenute negli scarti
di scavo relativi a questi villaggi, sono da tornio ad impasto rosso con
pitturazioni bicromatiche: bruno su sfondo chiaro. Per quanto riguarda
le forme vengono abbandonate le precedenti per proporre nuovi motivi,
quali anse cornute, a testa di animale e a pilastrino scanalato.
Sono stati ritrovati, inoltre,
oggetti di bronzo, come fibule ad archetto o ad arco arrotondato,
ascrivibili al 1200-1100 a. C., e a piegatura, coltelli con manico,
spilloni, stiletti, di più recente fattura, databili tra il X e il IX
secolo a. C.
Ampiamente documentata risulta
l’archeologia funeraria dell’Ausonio primo e secondo, grazie alla
scoperta delle necropoli di Lipari e di Milazzo, dove si notano profonde
mutazioni rispetto alle consuetudini del passato, quali incinerazione
dei cadaveri, la sistemazione a terra delle tombe, un corredo funebre
molto più ricco.
A completamento del panorama siciliano
di questo periodo, bisogna ricordare l’importante insediamento di
Morgantina a qualche chilometro da Piazza Armerina, avvenuto attorno
all’850 a. C. con tipologia culturale della Sicilia orientale; quello di
Molino della Badia per la struttura della necropoli rinvenutavi e per
il numeroso ed interessante materiale portato alla luce, assimilabile al
secondo Ausonio eoliano; e l’altro di Metapiccola di Lentini, il cui
materiale archeologico può ascriversi anch’esso complessivamente al
secondo Ausonio.
Il quadro etnografico della
Sicilia protostorica è molto complesso. Esso risulta composito, come
somma di diverse commistioni di popoli, pervenuti in Sicilia a partire
dal V millennio a. C., con preponderanza certa di tre elementi: il
Sicano, il Siculo, l’Elimo. La cultura che ne deriva, col
tempo, acquista caratteri autonomi dalle singole influenze,
condizionando in maniera determinante le stesse tre civiltà dei Sicani,
dei Siculi, degli Elimi, che a contatto con il mondo siciliano perdono
le loro antiche fisionomie fino ad apparire come nuove culture.
Fra tutti e tre furono proprio i Sicani a
perdere quasi definitivamente i loro caratteri, forse perché i più
remoti abitatori tra i Siculi e gli Elimi, e quindi più soggetti alla
penetrazione delle diverse civiltà, che man mano s’affacciavano
sull’isola. I Sicani, secondo Tucidide, provenivano dalla città iberica
di Sikàne presso il fiume Sikonòs, di stirpe ligure.
Secondo Diodoro Siculo,
i Siculi erano popolazioni peninsulari (Ancona è di origine sicula),
guerriere affini agli Itali. Sull’arrivo dei Sicani in Sicilia le fonti
storiche tacciono. Comunque, questo evento dovette verificarsi attorno
al 1300 a. C., mentre l’immigrazione sicula avvenne verso la fine dello
stesso millennio. Gli Elimi provennero, a detta di Tucidide, da Troia,
subito dopo la sua distruzione.
Secondo Bernabò Brea (La Sicilia Prima dei Greci),
le conclusioni conducono a rilevare un periodo pre-ellenico tre culture
tra di loro differenziate e dai caratteri ben definiti: quella sicana,
sviluppatasi principalmente nella Sicilia centro-meridionale con
epicentro S. Angelo Muxaro; quella sicula, interessante la Sicilia
orientale con epicentro Pantalica; quella elima o segestana, limitata
all’estremo occidente isolano.
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NOTA: I testi sono tratti dal libro di Gaspare Scarcella “La Sicilia dalle origini al processo Andreotti” del 1997.
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24 Novembre 2015