domenica 22 novembre 2015

COME SI MANGIAVA UNA VOLTA. UNA CUCINA SANA E GENUINA



La cucina della cultura contadina di un tempo era molto semplice e genuina, ma gli antichi ci raccontano anche, che spesso era poco abbondante, viste le condizioni economiche delle famiglie che lavoravano la terra nei campi. La frutta era a portata di mano: ficalinni, (fichi d’India), pùma, (mele), pira, (pere), fica, (fichi), pira spineddhi, prùna, (prugne), nespuli, (nespole), girasi, (ciliegie), e poi gli ortaggi, broccoli, lattughe, asparagi da fare con le uova, cavolfiori, minestra ì campagna, ecc. A pranzo bastava un primo che eri sazio: pasta e faciòla, (pasta e fagioli), pasta e linticchia, pasta chi favi, ù maccu, (si tratta di una crema di fave realizzata con una cottura prolungata di fave secche alle quali veniva aggiunta una verdura, solitamente delle bietole, e servita con il solo condimento di olio d’oliva. Veniva consumata come minestra o piatto unico. È un piatto povero della cultura contadina e nello stesso tempo molto nutriente. Risale all'antichità in quanto sembra fosse conosciuto al tempo degli antichi romani), pasta ch’ì patati e lardu, pasta c’ù ‘zzugu e lardu ì maiali. Come detto, ci si riempiva la pancia con tutte pietanze di prodotti sani e genuini, e c’è chi afferma che si viveva maggiormente in salute nonostante il duro lavoro.
Quando si faceva il pane, prima di infornarlo, una pagnotta già lievitata veniva fatta friggere (cuzzòla fritta) o arrostita sulla brace (cuzzòla ‘rrustuta). Tutte le famiglie tenevano nel cortile dietro casa le galline e qualcuno anche il maiale (nutrito con ghiande, ficodindia, crusca ed erba), che veniva, o venduto à fèra (mercato del bestiame) di Santa Teresa per ricavarne un bel gruzzolo di soldi o se le condizioni economiche della famiglia lo permettevano, veniva ucciso per Natale “per uso famiglia” per farne salame, pancetta, sasizza, (salsiccia), saìmi, (sugna), suppissata, (particolare tipo di salame più simile alla salsiccia), sangunazzu, (insaccato contenente prevalentemente interiora e sangue di maiale), frittuli o ziringuli, (la materia prima della frittola è il risultato di una particolare lavorazione degli scarti della macellazione del vitello), lardo e così era assicurata una buona scorta alimentare per tutto l’inverno. Alcuni, allevavano anche un vitello in casa, (al piano terra c’era generalmente la stanza adibita a stalla, e salendo per una scala di legno si giungeva all’abitazione), che ingrassavano nell’arco di un anno per poi venderlo poi ai macellai della zona.
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Da qui il modo di dire: Cu si marita sta cuntentu un ghiornu / Cu ‘mmazza ù porcu sta cuntentu n’annu. Nei giorni di festa e nei matrimoni, si facevano delle schiticchiate; allora sì che si poteva strafare: maccarruni ‘ntò zùgu d’ù maiali, sasizza, cost’ì maiali supra a bracia, e poi, castratu ò furnu, capretto ‘nfurnatu, il tutto era sempre accompagnato d’u pan’i casa e d’u vinu d’à nostra vigna. E poi c’erano i liquori fatti in casa: rosolio e nocino, come dolci: noci, fichi secchi, mostarda secca (con aggiunta di cannedda, cammommu, garofulu e mennuli ‘ntustati ), castagne, mandorle, insomma tutta roba di altri tempi il cui sapore si è già ormai perduto nella memoria dei nostri padri.
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Domenica 22 Novembre 2015

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