La cucina
della cultura contadina di un tempo era molto semplice e genuina, ma gli
antichi ci raccontano anche, che spesso era poco abbondante, viste le
condizioni economiche delle famiglie che lavoravano la terra nei campi. La
frutta era a portata di mano: ficalinni, (fichi d’India), pùma, (mele), pira,
(pere), fica, (fichi), pira spineddhi, prùna, (prugne), nespuli, (nespole), girasi,
(ciliegie), e poi gli ortaggi, broccoli, lattughe, asparagi da fare con le
uova, cavolfiori, minestra ì campagna, ecc. A pranzo bastava un primo che eri
sazio: pasta e faciòla, (pasta e fagioli), pasta e linticchia, pasta chi favi, ù maccu, (si tratta di una crema di fave
realizzata con una cottura prolungata di fave secche alle quali veniva aggiunta
una verdura, solitamente delle bietole, e servita con il solo condimento di
olio d’oliva. Veniva consumata come minestra o piatto unico. È un piatto povero
della cultura contadina e nello stesso tempo molto nutriente. Risale
all'antichità in quanto sembra fosse conosciuto al tempo degli antichi romani),
pasta ch’ì patati e lardu, pasta c’ù
‘zzugu e lardu ì maiali. Come detto, ci si riempiva la pancia con tutte
pietanze di prodotti sani e genuini, e c’è chi afferma che si viveva
maggiormente in salute nonostante il duro lavoro.
Quando si faceva il pane, prima di
infornarlo, una pagnotta già lievitata veniva fatta friggere (cuzzòla fritta) o
arrostita sulla brace (cuzzòla ‘rrustuta). Tutte le famiglie tenevano nel
cortile dietro casa le galline e qualcuno anche il maiale (nutrito con ghiande,
ficodindia, crusca ed erba), che veniva, o venduto à fèra (mercato del
bestiame) di Santa Teresa per ricavarne un bel gruzzolo di soldi o se le
condizioni economiche della famiglia lo permettevano, veniva ucciso per Natale
“per uso famiglia” per farne salame, pancetta, sasizza, (salsiccia), saìmi, (sugna),
suppissata, (particolare tipo di salame più
simile alla salsiccia), sangunazzu, (insaccato contenente prevalentemente
interiora e sangue di maiale), frittuli o ziringuli, (la materia prima della frittola è il
risultato di una particolare lavorazione degli scarti della macellazione del
vitello), lardo e così era assicurata una buona scorta alimentare per tutto
l’inverno. Alcuni, allevavano anche un vitello in casa, (al piano terra c’era
generalmente la stanza adibita a stalla, e salendo per una scala di legno si
giungeva all’abitazione), che ingrassavano nell’arco di un anno per poi
venderlo poi ai macellai della zona.
...
Da qui il
modo di dire: Cu si marita sta cuntentu un ghiornu / Cu ‘mmazza ù porcu sta
cuntentu n’annu. Nei giorni di festa e nei matrimoni, si facevano delle
schiticchiate; allora sì che si poteva strafare: maccarruni ‘ntò zùgu d’ù
maiali, sasizza, cost’ì maiali supra a bracia, e poi, castratu ò furnu,
capretto ‘nfurnatu, il tutto era sempre accompagnato d’u pan’i casa e d’u vinu
d’à nostra vigna. E poi c’erano i liquori fatti in casa: rosolio e nocino, come
dolci: noci, fichi secchi, mostarda secca (con aggiunta di cannedda, cammommu,
garofulu e mennuli ‘ntustati ), castagne, mandorle, insomma tutta roba di altri
tempi il cui sapore si è già ormai perduto nella memoria dei nostri padri.
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Domenica 22 Novembre 2015
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