martedì 24 novembre 2015

SICILIA. LE ORIGINI: IL PERIODO PALEOLITICO E NEOLITICO (parte seconda)

UN NEOLITICO D’IMPORTAZIONE - Il Neolitico si mostra al ricercatore più penetrabile e meno misterioso del Paleolitico, identificabile per le sue diffuse testimonianze archeologiche. Il passaggio dal paleolitico al neolitico, anche se si attua per gradi di sviluppo della civiltà umana, ad un certo punto mostra una verticale frattura col passato, offrendo allo studioso segni tangibili del nuovo sistema di vita di quelle popolazioni. Esse finalmente rivolgono le loro fatiche quotidiane non solo alla caccia, ma all’allevamento del bestiame e anche alla terra, coltivandola e commercializzando i prodotti ottenuti. Sorgono delle vere e proprie comunità umane con compiti individuali definiti nel loro ambito e con strutture organiche d’imperio.
La civiltà dell’uomo neolitico prevede sistemi abitativi più comodi e quindi diversi dalle caverne; ed ecco comparire i primi insediamenti capannicoli, anche se parecchie popolazioni in questo periodo ed oltre continueranno a risiedere nelle grotte, magari meglio attrezzate, fornite talora da sistemi d’areazione (sfiatatoi: Favignana), di utensili di uso domestico vario, necessari alle comodità giornaliere, ottenuti levigando la pietra o impastando l’argilla. Sorge finalmente e in maniera diffusa il gusto del bello, del decorativo.
Nel territorio della Sicilia è accertata la presenza, nel periodo post-paleolitico, di due popoli di cultura e tradizioni diverse: i Siculi e i Sicani, che non erano, di certo, indigeni isolani; almeno uno dei due dovette giungere in Sicilia dopo un’immigrazione di massa, tipica di quei periodi, proveniente da qualche paese del bacino del Mediterraneo. Altrimenti sia Siculi sia Sicani sarebbero lo stesso popolo, mentre le scoperte archeologiche mettono in evidenza caratteri culturali del tutto differenti.
È deducibile, quindi, che non esista un vero e proprio Neolitico siciliano, ma una cultura importata ed assimilata. Infatti, il neolitico isolano presenta in tutta la sua “facies” di sviluppo i caratteri tipici di altre civiltà mediterranee.
Le prime manifestazioni neolitiche in Sicilia si hanno con la “cultura di Stentinello” (Siracusa) (5000-4500 a. C.), abbracciante un’area di sviluppo attorno a 30.000 mq. Trattasi di un insediamento capannicolo di forma ovale con gli abitanti dediti all’agricoltura, alla pastorizia e alla produzione di manufatti di ceramica cotta, decorati con disegni geometrici e figurativi schematizzati, espressione del buon gusto raggiunto da quegli artigiani. Anche a Megara Iblea, a Licata e nelle Lipari compaiono segni della cultura stentinelliana con ceramiche d’argilla depurata, decorate a strisce rosse.
Produzioni similari sono state rinvenute in Puglia e in altri territori dell’Italia peninsulare, e dimostrano l’importazione di tecniche di lavorazione e di decorazione da parte dei popoli provenienti dall’Italia, tra cui i Siculi, installatisi nella Sicilia orientale. L’industria litica stentinelliana, sviluppatasi in buona parte nella Sicilia orientale, si serve di selce e di ossidiana, che all’epoca fu il principale materiale di questi popoli.
Altre civiltà neolitiche isolane di notevole sviluppo sono quelle di Matrensa, di Fontana, di Papa, di Mègara Iblea e di Thapsos. La cultura di Thapsos merita uno sguardo per il salto culturale ch’essa segna nel percorso dell’assise abitativa. La nuova struttura residenziale, di forma rettangolare, presenta il superamento delle capanne ed un’area di servizio familiare data da cortile pavimentato. Il complesso urbanistico che ne deriva, assieme ai diversi reperti archeologici rinvenuti, evidenzia uno sviluppo culturale avanzato rispetto alle restanti civiltà siciliane contemporanee (XIV-XIII sec. a. C.), sostenuto da consistenti influssi provenienti dal mondo egeo. Altra civiltà indicativa, ma, invero, più giovane è quella Pantalica (XIII-VIII sec. a. C.), che indica un sicuro collegamento con quella micenea. I resti dell’ “amaktoron” (reggia, situati sulle sommità del monte, sono, infatti, assimilabili al “megaron” di Micane. Le cinque spettacolari necropoli, composte da ben 5.000 tombe a grotticella naturale sono, per numero, impressionanti e non riscontrabili nell’intera regione mediterranea.
Verso il 4500 a. C. la facies culturale neolitica subisce profonde mutazioni soprattutto nelle isole Eolie, ove le popolazioni abbandonano i territori pianeggianti e fertili per situarsi nelle parti più elevate, a dimostrazione di pericoli incombenti, e dove fa apparizione un nuovo tipo di ceramica levigata, lucida, di colore bruno, segnata a bande rosse e nere con interessanti motivi geometrici, riscontrabili nella cultura jugoslava di Danilo e della Grecia.
In Sicilia questa seconda fase del neolitico, che potrebbe definirsi medio, presenta il carattere del ristagno delle attività culturali, come a significare uno spostamento dell’epicentro di floridezza verso le isole Eolie. Qui, grazie ai grandi giacimenti di ossidiana, si erano intessuti intensi scambi commerciali con le popolazioni delle isole napoletane e della costa campana: si era aperta così un’importante via marittima di comunicazione verso i territori peninsulari.
È con la cultura eoliana di Piano Conte che le isole Lipari perdono d’importanza, ridando alla Sicilia il suo naturale primato. D’ora in poi esse cesseranno di gravitare verso la penisola italiana per ritornare a far parte integrante della cultura della Sicilia orientale, in tutte le sue successive manifestazioni, anche quando si avrà un nuovo periodo della loro attività, con la cultura dell’età del bronzo di Capo Graziano. Infatti, l’ultima fase del neolitico eoliano (cultura di Piano Quartara) si svolgerà con caratteristiche unitarie sia nelle Lipari che in Sicilia.
L’età del rame in Sicilia presenta due facce culturali, talora non chiaramente distinte: quella occidentale e quella orientale, entrambe condizionate da egemonie provenienti dal mondo egeo-anatolico. Nell’Oriente siculo si svolge, in questo periodo, la civiltà di Castelluccio (Noto) (XVIII-XV sec. a. C.), la cui area di sviluppo, oltre a comprendere la regione dell’Etna, giunge fino ad Agrigento, delimitando sin da adesso le prime zone d’influenza tra le venture civiltà punica ed ellenica.
Pur presentando la civiltà di Castelluccio un’ampia facies unitaria di base su tutto il territorio di influenza, essa mostra tre volti per gli innesti con le civiltà locali agrigentine, siracusane e catanesi.
L’età del bronzo della Sicilia orientale, identificabile con la civiltà di Castelluccio, prevede piccoli villaggi posti su zone collinari fertili, adatte all’agricoltura, in prossimità di fiumi (Castiglione, Monte Casasia) e non di rado in prossimità del mare (Corridore, Passo Marinaro, Canalotti, Thapsos, Trapani). Le capanne in pietra assumono forme geometriche ovali o circolari, quasi perfette; viene abbandonata la precedente forma rettangolare e l’uso del legno viene riservato, assieme a fango e paglia, per la copertura.
Nei numerosi villaggi, generalmente sforniti di fortificazioni difensive, il materiale ritrovato è dato da macine, oggetti di selce, pithoi, ceramiche d’uso domestico. Queste ultime mostrano caratteri nuovi tipici, forme diversificate ed un numero crescente d’esemplari per i diversi usi: bicchieri a clessidra, anfore grandi, fruttiere, dipinti con decorazioni geometriche armoniose su fondo rosso a bande brune, o con figure umane schematizzate (vasi di Adrano). Sono state trovate statuette maschili o femminili, dipinte in rosso in nero (Caltanissetta), provenienti da Cipro, da Creta, dall’Anatolia. È importante tra i reperti un particolare tipo d’idolo ricavato da un osso a globuli, finemente lavorato e decorato, diffusamente ritrovato in tutta l’area di Castelluccio, di provenienza, nella forma e nella manifattura, dalla Grecia, da Troia, da Malta. Questi accostamenti culturali confermerebbero che già sin dall’età del bronzo delle correnti commerciali o di popoli s’indirizzano all’Ellade, da Cipro, da Creta, dall’Anatolia verso la Sicilia.
A completamento del quadro complessivo culturale di questa civiltà necessita ricordare l’elevato interesse mostrato dalle popolazioni per i morti, cui riservavano tombe comuni nella roccia, racchiuse da portelli decorati, fornite di spazi precamerali. Come a significare la continuazione della vita nell’aldilà, il defunto veniva seppellito assieme ad oggetti d’uso comune.
Allo scadere della cultura di Castelluccio, si rileva un rifiorire della civiltà delle Lipari, che influenza anche la prospiciente costa sicula (Milazzo). Tale risveglio della civiltà eoliana si deve, secondo Diodoro Siculo (Frag. V, 7), alla nascita della città di Lipara, da cui prendono nome le isole Lipari, ad opera di Liparo, figlio di Ausonio, che alla testa di un’armata proveniente dall’Italia peninsulare, forse dalla Campania, conquistò l’isola. Tale evento troverebbe rispondenza concreta nei storici riferentisi a questo periodo (1250 a. C.). infatti, la facies culturale dell’arcipelago perde i suoi antichi connotati per manifestarne di nuovi, analoghi a quelli di parecchie culture dell’Italia meridionale.
Il risveglio eoliano si può ripartire in due periodi, detti di Ausonio, in cui si nota una distinzione di valori tra il primo momento culturale di esclusiva marca di questo arcipelago, ed un secondo, ove frammenti di questa civiltà s’irradiano anche in Sicilia, lungo il litorale prospiciente le isole (1150 a. C.). Del primo Ausonio sono le ceramiche nere o bruno-scure, i cui caratteri presentano la tipologia delle civiltà appenniniche del centro e del sud Italia: vasi a becco ricurvo o con anse circolari, scodelle carenate. A questo periodo non può ascriversi alcuno dei villaggi ritrovati nelle Eolie, forse perché Liparo provvide con il suo esercito a rendere inabitate tutte le isole, meno Lipari.
Gli insediamenti capannicoli rinvenuti a Castello di Lipari sono del secondo Ausonio e presentano valori innovatori rispetto ai precedenti, soprattutto per la forma rettangolare delle abitazioni, per i solidi muri perimetrali più elevati, per le accresciute dimensioni, per la sistemazione del focolare. Le ceramiche di fabbricazione locale, rinvenute negli scarti di scavo relativi a questi villaggi, sono da tornio ad impasto rosso con pitturazioni bicromatiche: bruno su sfondo chiaro. Per quanto riguarda le forme vengono abbandonate le precedenti per proporre nuovi motivi, quali anse cornute, a testa di animale e a pilastrino scanalato.
Sono stati ritrovati, inoltre, oggetti di bronzo, come fibule ad archetto o ad arco arrotondato, ascrivibili al 1200-1100 a. C., e a piegatura, coltelli con manico, spilloni, stiletti, di più recente fattura, databili tra il X e il IX secolo a. C.
Ampiamente documentata risulta l’archeologia funeraria dell’Ausonio primo e secondo, grazie alla scoperta delle necropoli di Lipari e di Milazzo, dove si notano profonde mutazioni rispetto alle consuetudini del passato, quali incinerazione dei cadaveri, la sistemazione a terra delle tombe, un corredo funebre molto più ricco.
A completamento del panorama siciliano di questo periodo, bisogna ricordare l’importante insediamento di Morgantina a qualche chilometro da Piazza Armerina, avvenuto attorno all’850 a. C. con tipologia culturale della Sicilia orientale; quello di Molino della Badia per la struttura della necropoli rinvenutavi e per il numeroso ed interessante materiale portato alla luce, assimilabile al secondo Ausonio eoliano; e l’altro di Metapiccola di Lentini, il cui materiale archeologico può ascriversi anch’esso complessivamente al secondo Ausonio.
Il quadro etnografico della Sicilia protostorica è molto complesso. Esso risulta composito, come somma di diverse commistioni di popoli, pervenuti in Sicilia a partire dal V millennio a. C., con preponderanza certa di tre elementi: il Sicano, il Siculo, l’Elimo. La cultura che ne deriva, col tempo, acquista caratteri autonomi dalle singole influenze, condizionando in maniera determinante le stesse tre civiltà dei Sicani, dei Siculi, degli Elimi, che a contatto con il mondo siciliano perdono le loro antiche fisionomie fino ad apparire come nuove culture.
Fra tutti e tre furono proprio i Sicani a perdere quasi definitivamente i loro caratteri, forse perché i più remoti abitatori tra i Siculi e gli Elimi, e quindi più soggetti alla penetrazione delle diverse civiltà, che man mano s’affacciavano sull’isola. I Sicani, secondo Tucidide, provenivano dalla città iberica di Sikàne presso il fiume Sikonòs, di stirpe ligure.
Secondo Diodoro Siculo, i Siculi erano popolazioni peninsulari (Ancona è di origine sicula), guerriere affini agli Itali. Sull’arrivo dei Sicani in Sicilia le fonti storiche tacciono. Comunque, questo evento dovette verificarsi attorno al 1300 a. C., mentre l’immigrazione sicula avvenne verso la fine dello stesso millennio. Gli Elimi provennero, a detta di Tucidide, da Troia, subito dopo la sua distruzione.
Secondo Bernabò Brea (La Sicilia Prima dei Greci), le conclusioni conducono a rilevare un periodo pre-ellenico tre culture tra di loro differenziate e dai caratteri ben definiti: quella sicana, sviluppatasi principalmente nella Sicilia centro-meridionale con epicentro S. Angelo Muxaro; quella sicula, interessante la Sicilia orientale con epicentro Pantalica; quella elima o segestana, limitata all’estremo occidente isolano.
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NOTA: I testi sono tratti dal libro di Gaspare Scarcella “La Sicilia dalle origini al processo Andreotti” del 1997.
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24 Novembre 2015

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