martedì 24 novembre 2015

SICILIA. LE ORIGINI: IL PERIODO PALEOLITICO E NEOLITICO (parte prima)

PERIODO PALEOLITICO – La particolare posizione geografica dell’isola di Sicilia, posta al centro del mare Mediterraneo, per millenni ha rappresentato il punto d’incontro e, talora, di scontro delle principali civiltà di questo bacino.
Ogni pietra, ogni anfratto, ogni grotta mostrano i segni definiti della presenza di culture diverse, di cui non tutto, al momento, appare chiaramente decifrabile. Basterebbe, però, che l’interesse verso il passato assumesse i toni e i caratteri della ricerca scientifica oculata e programmata, perché nuove sensazionali scoperte venissero alla luce per confermare che questa incantevole terra, ove le stagioni s’alternano senza i rigorosi loro tipici sussulti, è stata elevata a dimora dell’uomo sin dalla sua iniziale apparizione sul nostro pianeta.
La ricerca archeologica, qui, più che un’opera sistematica di valenti studiosi, è stata spesso frutto d’iniziative individuali, i cui risultati sono serviti raramente a squarciare le ombre che ancora oggi avvolgono il passato remoto di questa splendida terra.
Di certo, dovette trovarsi sito l’Uomo di Neanderthal, la cui presenza, tra il 250.000 a. C. ed il 35.000 a. C., è rilevata in quasi tutti i paesi europei ed in Asia occidentale e centrale.
Il periodo intorno al 35.000 a. C. non va inteso come quello in cui cessa la sua esistenza l’Uomo di Neanderthal per lasciare il posto all’Homo sapiens, ma l’epoca più o meno approssimativa in cui si ha la progressiva e definitiva supremazia dell’uomo moderno su tutte le precedenti specie.
Il materiale archeologico preistorico rinvenuto nelle diverse ricognizioni fatte sul suolo isolano, che hanno avuto inizio nel 1713 ad opera di padre Capuani, non è sufficientemente apprezzabile per il numero di pezzi ritrovati, ma è pur sufficiente a stabilire che la Sicilia fu abitata dai progenitori dell’Homo sapiens, in epoca databile attorno al milione di anni fa.
Conforta questa ipotesi, infatti, il ritrovamento ad una profondità di circa 25 m., presso Termini Imerese, comune della provincia di Palermo, di “strumenti quarzitici a scheggiatura bifacciale”, tipici dell’Homo habilis abbevilliano. Altre presenze dell’uomo o dei suoi lontani ascendenti nell’isola di Sicilia, durante il paleolitico inferiore, sono segnalate dalle scoperte fatte da M. Bianchini nella Valle dei Platani, presso Rocca di Vruaro, di armi in pietra a forma di mandorla (amigdala) e sui terrazzi fluviali del Dittaino e del Simeto.
A questi interessanti ritrovamenti vanno assommati i più recenti, fatti da M. Meli, nel 1961, a Giancaniglia (Termini Imerese) e da E. De Miro, nel 1968, presso Eraclea Minoa (Agrigento), di manufatti rozzamente lavorati, riferibili con certezza al paleolitico inferiore.
Lo sviluppo della civiltà isolana del paleolitico inferiore sembrerebbe procedere di pari passo con quello della prospiciente costa tunisina, per cui potrebbe avanzarsi l’ipotesi di uno scambio, anche lento, date le distanze, delle due civiltà.
Ciò farebbe pensare, almeno durante il paleolitico inferiore, ad un collegamento terrestre tra la Sicilia e la costa africana. Avvalorerebbero questa ipotesi le caratteristiche similari del paesaggio paleolitico della fauna e della flora delle due opposte coste mediterranee. Infatti, mentre nella restante Europa in quest’epoca scompare del tutto l’elephas mnaidriensis, esso continua a vivere indisturbato sia in Sicilia sia nei territori nord-africani, come a significare un eguale comune denominatore ambientale, dovuto ad agevoli o, per lo meno, possibili collegamenti terrestri. Al tempo, ogni altra via di comunicazione era preclusa sia all’uomo sia agli animali.
Le testimonianze archeologiche riferentisi al paleolitico inferiore, anche se di numero limitato, sono più che sufficienti a giustificare l’ipotesi della presenza dell’uomo in Sicilia in questo periodo. Vengono, quindi, superate antiche affermazioni che l’Isola fosse abitata a partire dal paleolitico superiore, del quale, qui, come altrove, più consistenti sono i segni tangibili del passaggio dell’uomo.
Non c’è grotta isolana che sia priva di elementi identificatori della civiltà del tardo paleolitico, la quale assume, soprattutto nelle grotte di Levanzo (isole Egadi - nella foto "la Grotta del Genovese"), i caratteri tipici di quella cultura, definibili in ogni loro fase di sviluppo. In questa fase della Preistoria la maggior parte della fauna è costituita da cavalli, buoi, cervi, stambecchi, pesci, tutte figure scolpite nelle pareti delle grotte delle Egadi.
Le figure talora tozze, tal’altra raffinate, tal’altra ancora stilizzate, incise o dipinte (uomo stilizzato nella Grotta del Pozzo a Favignana, come se l’autore volesse lasciare un segno riconoscibile della sua arte, testimoniano il bisogno figurativo, presente nell’uomo sin dalla fase più antica della sua esistenza.
Tra tutte le grotte risplende per avanzato senso estetico e critico la Grotta del Genovese a Levanzo, ove, tra l’altro, i graffiti di un bos primigenus, incisi con bulini di selce sulla nuda roccia, e la pittura di una cerbiatta mostrano un bisogno di comunicazione e di cultura abbastanza elevato dello sconosciuto artista. Nella stessa grotta, ma di origine sicuramente più recente, neolitico-età del bronzo, sono rappresentati animali domestici, tonni e donne in catene. Anche lungo le numerose grotte del litorale trapanese, un tempo collegato con le prospicienti isole aegusee, è stato rinvenuto interessante materiale attribuibile al paleolitico superiore e databile attorno al 10000 a. C.
I reperti più diffusi di questa zona sono rappresentati da frammenti di ossa, selci, conchiglie (una delle prime monete di scambio), ceneri, carboni, raschiatoi, punte di ossidiana, lame litiche grezze e lavorate, bulini di varia natura, ossi di cervi, asini, bovini, canidi, cinghiali, e una zampa di elefante ritrovata dal marchese Della Rosa nella Grotta Emiliana in località Bonagia (Valderice).
Spesso questi segni tangibili del paleolitico superiore si accompagnano a pitture, incisioni sulla nuda roccia, o lettere, croci, piccoli sacelli, tombe riferibili a civiltà posteriori, come quella punica, greca, romana, primo-cristiana, araba e spagnola.
La presenza di culture diverse stanziate in epoche successive alle stesse grotte affermerebbe l’uso abitativo millenario delle caverne, continuato fino all’evo moderno. A questi importanti e rilevanti ritrovamenti compiuti lungo tutta la costa trapanese vanno aggiunti gli altrettanto numerosi ritrovamenti di materiale similare, portato alla luce su tutto il territorio isolano.
A qualche chilometro dall’aeroporto di Punta Raisi, proprio alle pendici della Montagna Longa, in ricognizioni successive, iniziate sin dal 1869 dal Gemellaro e proseguite , ai giorni nostri, dal Mannino, sono stati ritrovati scheletri di elefanti, di bos primigenus, di bison priscus, di cavalli, di ippopotami, d’uccelli, rappresentazioni sulla nuda roccia di cerbiatti, cavalli, nonché oggetti d’uso comune, tra cui lamelle litiche e conchiglie. Materiale più o meno numeroso è rinvenibile anche in buona parte delle caverne dell’Addaura, attorno a Monte Pellegrino, la montagna sovrastante il capoluogo, e in tutte le restanti grotte del Palermitano, tra cui vanno ricordate, per copiosità del materiale rinvenuto, la Grotta di S. Ciro e la caverna di Monte Gallo. In epoche successive, non di rado, queste grotte litoranee furono utilizzate dai mercanti di Tiro, prima, e dai Cartaginesi, poi, come empori commerciali per i loro fiorenti traffici.
Ma non solo la Sicilia occidentale è ricca di presenze umane del Paleolitico superiore: anche la costa orientale, ove ben presto s’affaccerà la civiltà ellenica, conserva nelle sue cavità e fosse marine i segni dell’uomo paleolitico. Le grotte di questa parte di Sicilia risultano maggiormente interrate di quelle occidentali. Le operazioni di sterramento per strati hanno portato alla luce materiale vario di epoche susseguenti.
Di rilevante importanza è la scoperta di una punta litica, detta “a cran”, unico esemplare siculo, nella Grotta di S. Corrado, assieme a bulini e ad altro materiale litico, e di ceramica dipinta di epoca posteriore al paleolitico, assimilabile alla civiltà di Castelluccio (2100-1500 a. C.).
Proseguendo nello studio del paleolitico isolano, di notevole interesse appaiono i ritrovamenti fatti da P. Graziosi nella grotta messinese di S. Teodoro, ove furono rinvenuti negli strati superiori ossa di animali vari, mentre negli strati inferiori selci e quarziti, frammenti di ossa riferibili all’Homo sapiens, materiale litico vario ed uno scheletro umano in buona conservazione. Altre stazioni abitative di questo periodo, importanti ai fini della conoscenza del Paleolitico, sono quelle di Novara di Sicilia (Messina) e di Corruggi (Pachino).
Sebbene sia numerosa la presenza di manufatti dell’uomo del paleolitico in tutta l’Isola, mancano, eccezion fatta per lo scheletro della Grotta di S. Teodoro, rinvenimenti di altri resti umani. Questo è l’unico vero mistero che avvolge il Paleolitico siciliano in tutte le sue fasi di sviluppo.
NOTA: I testi sono tratti dal libro di Gaspare Scarcella “La Sicilia dalle origini al processo Andreotti” del 1997.
.
24 Novembre 2015

Nessun commento:

Posta un commento